IL FIUME SARNO E L'INQUINAMENTO AMBIENTALE
Lunghezza: 24 km Portata media: 13 metri cubi al secondo alla foce Estensione del bacino: 438,97 kmq Abitanti nel bacino: oltre 2.500.000
Stato ecologico: pessimo in tutto il suo corso. Le cause: mancanza di fogne e depuratori, forte industrializzazione e urbanizzazione, eccessivi prelievi alle sorgenti.
INDEGNO DI UN PAESE CIVILEI
l Sarno nasce da più sorgenti ai piedi del Monte Saro sopra Sarno (Salerno), scende verso sud-ovest attraversando l'agro sarnese-nocerino e a valle di San Marzano riceve il canale Alveo Comune, alimentato dai torrenti Solofrana e Cavaiola. Sfocia nel Golfo di Napoli a Rovigliano, frazione di Torre Annunziata (Sa). A 200 metri dalla sorgente il Sarno non è già più un fiume, ma una fogna. I liquami del territorio che lo circonda, l'agro sarnese-nocerino, finiscono direttamente nel suo alveo o nella terra nuda. "[...] il bacino del Sarno, pur presentandosi come un territorio fortemente antropizzato e con elevato livello di insediamenti produttivi, dispone di un sistema infrastrutturale di ricezione e smaltimento dei reflui assolutamente inadeguato e non degno di un paese civile", riporta nel 2006 la relazione conclusiva della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle cause dell'inquinamento del fiume Sarno e, più chiaramente, "[...] il vero problema è che questo fiume ha il compito di drenare un'area urbana priva di fogne".
Per la contaminazione chimica tipicamente industriale i dati della relazione parlano di PCB e metalli pesanti tossici come cromo, rame, cadmio, cobalto, selenio e tellurio, seguiti da fitofarmaci, diserbanti e fertilizzanti dilavati dai terreni agricoli. Ma l'inquinamento più devastante è quello organico, di origine sia civile sia industriale, in particolare quello delle concerie dell'alto Sarno e dell'industria di lavorazione del pomodoro.
Il San Marzano: l'Unità d'Italia in un pomodoro
Il pomodoro San Marzano è più di un semplice frutto: è un pezzo di Storia d'Italia. Arrivato nell'agro sarnese nocerino nel '700 come dono del Perù al Regno di Napoli, nel 1902 l'imprenditore piemontese Francesco Cirio lo rese famoso in tutto il mondo per la preparazione dei pelati e della pummarola napoletana. Abbandonato per altre varietà più redditizie negli anni Ottanta del '900, venne recuperato dagli agronomi del Centro Ricerche Cirio e dell'Assessorato all'Agricoltura della Regione Campagna negli anni '90. Nel 2000 l'associazione Slow Food l'ha inserito fra i suoi "presìdi": prodotti tipici da difendere perché simbolo dell'identità di un territorio.
-----------Storico appassionato di questo territorio è il professor Stefano De Pace, oggi delegato di Legambiente al Parco del Sarno, fragile speranza di rilancio ecologico: «Le concerie erano presenti già nel medioevo e all'inizio del '900 il pomodoro San Marzano era un'eccellenza della nostra agricoltura e industria conserviera. Poi dalla fine degli anni '60 i contributi statali innescarono uno sviluppo incontrollato: oggi le concerie sono passate da 20 a 450 e il pomodoro lavorato da 6 a 120 milioni di quintali. La materia prima arriva da tutta Italia su colonne di camion e la qualità è sostituita dalla quantità: l'impatto sarebbe già enorme se gli scarichi venissero depurati, immaginatevi in assenza di trattamenti...».
Scaricare i liquami civili e industriali direttamente nel fiume ha fatto impennare la proliferazione batterica. Uno studio sulle acque del Sarno dell'Istituto superiore di Sanità del 2002-2003 riporta una contaminazione da batteri fecali circa 2 milioni di volte superiore al limite per gli scarichi dei depuratori e la presenza diffusa di salmonella e persino del colera. Studi epidemiologici approfonditi sulle conseguenze sanitarie dell'inquinamento del Sarno sulla popolazione locale non ne sono mai stati fatti, ma i dati della Commissione d'inchiesta parlano chiaramente di aumento di patologie respiratorie.
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Tumori dell'apparato respiratorio e urinario e persino della diffusione fra i giovani del morbo di Parkinson.
Negli ultimi 30 anni si è cercato più volte di mettere mano al disastro, ma in questa terra strangolata dalla camorra l'ambiente diventa un lusso.
Maggio 1998, il fiume di fango.Il Sarno è tristemente famoso anche per il dissesto idrogeologico delle sue rive. Il 5 maggio 1998 le forti piogge di quei giorni staccarono un'enorme frana dal monte Pizzo di Alvano che travolse i centri di Sarno, Siano, Bracigliano e Quindici, nella valle del Sarno; il tragico bilancio fu 159 morti, di cui 137 solo a Sarno.
A distanza di 12 anni dalla tragedia il Sarno continua a straripare ciclicamente, l'ultima volta il 10 novembre 2010 a Castellammare di Stabia. Visti i dati sull'inquinamento delle sue acque si può ben immaginare cosa lascino sul terreno le alluvioni del Sarno.
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VIVA IL GENERALE! SÌ, MA POI?Oggi la speranza viene dal lavoro di un ex generale dei Carabinieri di 84 anni, Roberto Jucci, dal 2001 commissario per l'Emergenza socio-economico-ambientale del Sarno. I suoi compiti sono due: da un lato fermare l'inquinamento costruendo fogne e depuratori e dall'altro bonificare sedimenti e terreni già contaminati. Data l'assenza di un piano regolatore, quando si scava esce di tutto: fogne abusive, linee elettriche, tubazioni e aree archeologiche. I lavori hanno subito forti ritardi, ma dai rapporti del 2010 risultano a buon punto.
Nel frattempo sono partiti il dragaggio e il trattamento dei sedimenti contaminati, che però devono essere smaltiti fuori regione perché in Campania mancano le discariche autorizzate. Se ci voleva un generale per costruire le fogne, proprio la sua presenza comporta rischi «di deresponsabilizzazione degli enti locali e delle aziende che gestiscono il servizio idrico», mette in guardia Giancarlo Chiavazzo, presidente di Legambiente Campania. «Quando il commissario avrà finito il suo compito e se ne sarà andato, saranno loro che dovranno far funzionare le fogne e i depuratori e controllare che gli scarichi industriali vengano trattati correttamente.»