mercoledì 16 febbraio 2011

IL BLITZ


Cocaina in clinica al ginecologo
undici arresti nella Napoli-bene
Gli spacciatori attivi nei Quartieri spagnoli ricevevano ordini telefonici. Consegne a domicilio per imprenditori e professionisti a Posillipo, Chiaia e Capri. La droga veniva anche consegnata a un ginecologo mentre eseguiva le operazioni. Dietro lo spaccio i clan Mazzarella e Di Biase


Procuravano e consegnavano, anche a domicilio, dosi di sostanze stupefacenti, prevalentemente cocaina, a professionisti ed imprenditori napoletani. Undici persone, accusate di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, sono state arrestate dai carabinieri della Compagnia di Napoli-Bagnoli. Nei loro confronti la magistratura ha emesso una ordinanza di custodia cautelare in carcere.

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Durante le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia, i carabinieri hanno scoperto l'organizzazione, attiva nei Quartieri spagnoli di Napoli, che, sulla base di ordini telefonici di stupefacenti da parte di professionisti e imprenditori, provvedeva alla consegna a domicilio delle dosi, nei quartieri di Posillipo, Chiaia e nell'isola di Capri.

Approfondendo le investigazioni sono stati individuati i canali di approvvigionamento e tracciati i rapporti tra i vertici del gruppo di spacciatori ed esponenti dei clan camorristici dei Mazzarella e dei Di Biase, operanti nel centro storico di Napoli. E' stato così delineato il ruolo dei componenti il gruppo di spacciatori che fungeva da fulcro tra la malavita organizzata (fornitrice dello stupefacente) ed i consumatori della cosiddetta Napoli bene.

Secondo quanto emerso dall'indagine che a Napoli ha portato a svelare un giro di droga tra professionisti e imprenditori, tra i più assidui consumatori di cocaina c'era anche un noto ginecologo napoletano che ordinava lo stupefacente e se lo faceva portare nella clinica in cui lavora anche due o tre volte al giorno.
Le ordinanze di custodia - 10 eseguite, una persona sfuggita alla cattura, altri tre indagati a piede libero - sono state emesse dal gip Luisa Toscano su richiesta del pm Michele Del Prete.


Il medico non è indagato perchè la droga gli serviva per uso personale. Secondo quanto si è appreso, il professionista, sotto l'effetto dello stupefacente, eseguiva anche interventi chirurgici. Nelle conversazioni con gli spacciatori le dosi di cocaina erano definite "bottiglie di vino", "profumi" o "borse". La persona sfuggita alla cattura è uno skipper caprese che, come emerge dalle intercettazioni, consegnava la droga ai clienti all'interno di un noto ristorante dell'isola.

Tra gli indagati figurano due coniugi di Posillipo, imprenditori, per i quali il gip ha respinto la richiesta di arresto: avrebbero finanziato l'acquisto di una partita di stupefacenti.


NAPOLI - Nel corso delle indagini che hanno portato questa mattina alla notifica di dieci ordinanze di custodia cautelare sono stati documentati centinaia di episodi di spaccio. Un migliaio le pagine del provvedimento, in cui l'attività della banda è ricostruita nei dettagli; decisive le intercettazioni telefoniche. Il ginecologo, un cinquantenne che ha lo studio a Posillipo e lavora in una clinica della zona collinare, chiamava spesso i diversi componenti della banda e si faceva raggiungere nei luoghi in cui di volta in volta si trovava. «Puoi venire da me?», chiede per esempio a Maria detta Lory, arrestata questa mattina; lei, prima che la comunicazione si interrompa, chiede ragguagli: «Allo studio? Allo studio o sopra?». In un'altra circostanza il medico le chiede dove si trovi: «Sto in via Marina, però il motorino non può andare. Dove state voi?». Il ginecologo si offre di raggiungerla: «Io sto quasi a via Marina, ti vengo incontro». In quel momento, però, la spacciatrice non ha cocaina con sè: «Eh, però devo andare un attimo a casa perchè ho finito». La donna lo rassicura: «Vengo io da voi, mi dite dove?». Dì lì a poco il dottore sarà in clinica: «Io sto alla clinica...». La spacciatrice lo tranquillizza: «E allora vengo lì, non vi preoccupate». Il medico teme che per il guasto al motorino Lory non possa raggiungerlo: «Ma come fai mo?». Lei ha la soluzione pronta: «E mò mi fermo da un benzinaio, sarà scappata la pippetta perchè perde benzina». Il ginecologo si sente rassicurato: «Ah, va buono», e aggiunge: «Ci vediamo là, io già sto andando in clinica». La spacciatrice, che ha già consegnato altre volte la droga nella casa di cura, conferma: «Sì, in clinica, va bene».

GINECOLOGO COCAINOMANE Secondo quanto emerso dall'indagine che a Napoli ha portato a svelare un giro di droga tra professionisti e imprenditori, tra i più assidui consumatori di cocaina c'era anche un noto ginecologo napoletano che ordinava lo stupefacente e se lo faceva portare nella clinica in cui lavora anche due o tre volte al giorno. Le ordinanze di custodia - 10 eseguite, una persona sfuggita alla cattura, altri tre indagati a piede libero - sono state emesse dal gip Luisa Toscano su richiesta del pm Michele Del Prete. Il medico non è indagato perchè la droga gli serviva per uso personale. Secondo quanto si è appreso, il professionista, sotto l'effetto dello stupefacente, eseguiva anche interventi chirurgici. Nelle conversazioni con gli spacciatori le dosi di cocaina erano definite 'bottiglie di vinò, 'profumì o 'borsè. La persona sfuggita alla cattura è uno skipper caprese che, come emerge dalle intercettazioni, consegnava la droga ai clienti all'interno di un noto ristorante dell'isola. In una telefonata, in particolare, lo skipper parla di droga da consegnare a un vicequestore della Polizia di Stato, il cui nome non si conosce. Tra gli indagati figurano due coniugi di Posillipo, imprenditori, per i quali il gip ha respinto la richiesta di arresto: avrebbero finanziato l'acquisto di una partita di stupefacenti. Il ginecologo spendeva per ciascuna dose di cocaina circa 90 euro; per questo prezzo otteneva che gli spacciatori gli consegnassero lo stupefacente in clinica, allo studio, a casa o in strada e non frequentava così luoghi noti per lo spaccio. Insomma, pagava di più rispetto al prezzo di mercato proprio per non esporsi. Le telefonate agli atti dell'inchiesta sono una cinquantina, con diversi componenti della banda. Nei colloqui, tutti molto brevi, il professionista mostra spesso impazienza di ricevere cocaina. Numerose anche le telefonate dello skipper che, in questo momento, si trova in Indonesia e al quale l'ordinanza agli arresti domiciliari sarà notificata al rientro in Italia. Tra i consumatori anche numerosi avvocati e commercialisti. L'inchiesta, delegata ai carabinieri di Posillipo, fu avviata nel 2009 quando, nel corso di un'indagine su una estorsione a un benzinaio, vennero intercettate casualmente alcune telefonate in cui si faceva richiesta di droga.

UNDICI ARRESTI Procuravano e consegnavano, anche a domicilio, dosi di sostanze stupefacenti (prevalentemente cocaina) a professionisti ed imprenditori napoletani. Undici persone, accusate di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, sono state arrestate dai carabinieri della Compagnia di Napoli-Bagnoli. Nei loro confronti la magistratura ha emesso una ordinanza di custodia cautelare in carcere. Durante le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia, i carabinieri hanno scoperto l'organizzazione, attiva nei Quartieri spagnoli di Napoli, che, sulla base di ordini telefonici di stupefacenti da parte di professionisti e imprenditori, provvedeva alla consegna a domicilio delle dosi, nei quartieri di Posillipo, Chiaia e nell'isola di Capri. Approfondendo le investigazioni sono stati individuati i canali di approvvigionamento e tracciati i rapporti tra i vertici del gruppo di spacciatori ed esponenti dei clan camorristici dei Mazzarella e dei Di Biase, operanti nel centro storico di Napoli. È stato così delineato il ruolo dei componenti il gruppo di spacciatori che fungeva da fulcro tra la malavita organizzata (fornitrice dello stupefacente) ed i consumatori della cosiddetta Napoli bene.


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MEDICO CURA TE STESSO!!!!

I dottori? Soffrono di burnout
Medici italiani sempre più stressati.
Nasce un progetto per aiutarli ...Medici italiani sempre piu' stressati. La paura di commettere errori, i turni a volte massacranti, il timore di ritrovarsi 'a spasso' o in pensione troppo presto, possono risultare fardelli troppo pesanti da sopportare. Soprattutto sulle spalle di quei camici bianchi piu' fragili che, nella maggioranza dei casi, non volendo o non sapendo a chi rivolgersi, rischiano di precipitare nel 'buco nero' della depressione. Sono infatti almeno 5 mila i medici italiani che, smarriti e sotto stress, si rifugiano in alcol e droghe, soprattutto cocaina. Un numero che fa impressione, se si pensa che si tratta di professionisti che si occupano della salute dei cittadini.

E' l'ultima fotografia sui medici italiani colpiti da burnout (dipendenza patologica professionale), una malattia pericolosa che, se non curata, puo' portare anche a soluzioni estreme. A scattarla e' Beniamino Palmieri, professore di chirurgia dell'Universita' degli Studi di Modena e Reggio Emilia e coordinatore del progetto 'Medico cura te stesso', network che ha, tra gli obiettivi, proprio la tutela dei camici bianchi che si ammalano o che vengono colpiti da bornout. Il fenomeno riguarda in Italia il 30% dei medici over 50. Praticamente 1 su 3.

Lo scenario - illustrato in anteprima all'Adnkronos Salute - verra' presentato dettagliatamente nel corso del II convegno nazionale del network coordinato da Palmieri, in programma il 4 e 5 marzo a Milano. "I medici - spiega Palmieri - nonostante abbiano dei livelli di mortalita' inferiori rispetto alla media della popolazione, hanno pero', un rischio maggiore d'essere affetti da alcuni problemi di natura fisica e psicologica. Chi esercita questa professione, rispetto alla media della popolazione, e' maggiormente interessato da una o piu' delle tre 'd': drugs, drink and depression, vale a dire farmaci, alcolismo e depressione, compreso il suicidio".

Non e' un caso che, in tutto il mondo, il tasso di suicidi tra i camici bianchi e' due volte superiore a quello della popolazione generale tra gli uomini e addirittura quattro volte tra le donne. Numeri da brividi, che hanno origine proprio dalle dipendenze legate alla professione. "Il burnout - spiega Palmieri - e' una sindrome caratterizzata da stress lavorativo, esaurimento (tensione emotiva, ansieta', irritabilita' ovvero noia, apatia, disinteresse), conclusione difensiva (distacco emotivo dal paziente assistito, cinismo, rigidita')". A rimanerne colpiti, tra i medici, sono in tanti: "Si stima - sottolinea l'esperto - un 30% dei camici bianchi con piu' di 50 anni".

A farne le spese sono soprattutto anestesisti, chirurghi, ginecologi e medici del pronto soccorso, in maggioranza uomini (nell'80% dei casi). "Tutti medici - spiega Palmieri - sottoposti a grande stress. Molti lavorano 50-60 ore a settimana, ma il sovraccarico non e' solo di fatica: c'e' quello emozionale e, sempre di piu', c'e' il peso della burocrazia e dei conflitti tra colleghi. A tutto cio' si sommano fattori culturali che rendono piu' difficile per i dottori chiedere aiuto".

E infatti sono davvero pochi quelli che lanciano una sorta di Sos. Si contano sulle dita di una mano. "Circa il 99% dei camici bianchi in difficolta' - sottolinea l'esperto - non vuole o non sa a chi rivolgersi. Di questi - aggiunge - il 45% si autocura". E resta al lavoro. "La quasi totalita', anche tra quelli che fanno uso di droga, soprattutto cocaina, e alcol, trova una coesistenza tra professione e abusi".

A finire nel tunnel della dipendenza sono soprattutto i medici piu' bravi e stacanovisti. "A cadere nella trappola - spiega Palmieri - sono proprio i camici bianchi che dedicano tutta la lora vita al lavoro. Sempre pronti a correre in ospedale e sostenere turni massacranti". Professionisti 'scoppiati' che iniziano a essere depressi e a rifugiarsi nell'alcol o nella droga o in entrambi.

Svariate le forme depressive. "Ci sono - spiega l'esperto - quelle che si manifestano con rabbia e irritabilita'. E ancora, casi in cui prevalgono mal di testa, nausea, disturbi del sonno". Le conseguenze di questo quadro clinico non possono non riflettersi anche sull'attivita' medica. "Aumenta ad esempio - afferma Palmieri - il rischio di ferirsi con un bisturi, o di pungersi con una siringa". A rimetterci e' anche il rapporto con il paziente. "Studi scientifici - aggiunge l'esperto - hanno infatti dimostrato che un medico stressato non solo e' meno disponibile al dialogo, ma rischia piu' facilmente di commettere errori, anche fatali".

Per far fronte a questo tipo di problemi ci si dovrebbe rivolgere a strutture assistenziali pubbliche, ma non e' cosi' semplice. "Il piu' delle volte - spiega Palmieri - il medico non chiede aiuto, perche' ha paura di essere riconosciuto e di avere ripercussioni sulla carriera". C'e' poi un altro fattore che non facilita la risoluzione del problema. Non tutti i medici colpiti da burnout sanno davvero di trovarsi in difficolta'. "C'e' un 15% di camici bianchi che ignora di esserne colpito. E circa il 18% convive con uno stato cronico di depressione". Intanto, a fronte di dottori inconsapevoli e di una rete di assistenza debole, il fenomeno cresce. "Negli ultimi cinque anni - spiega l'esperto - il burnout nel nostro Paese e' aumentato ogni anno dell'1%".

Un trend che sembra trovare conferma in alcuni episodi balzati di recente alle cronache, con medici protagonisti di strane storie. L'ultimo caso in ordine di tempo e' quello di una guardia medica di 58 anni che, a Roma, beveva durante il servizio. Avrebbe dovuto rispondere al telefono dell'ambulatorio e all'occorrenza curare i malati, di persona oppure dando indicazioni via cavo. Invece era spesso ubriaco. Oppure non c'era, avendo l'abitudine di anticipare di parecchio il suo orario di fine turno.

Fatto sta che si e' ritrovato imputato in un'aula del tribunale di Roma, con l'accusa di interruzione di servizio di pubblica utilita' e minacce nei confronti dei suoi colleghi che, dopo mesi di sopportazione, lo avevano denunciato provocandone la sospensione. E lui, per vendicarsi, aveva cominciato a telefonare a tutte le ore, sulle linee riservate alle emergenze sanitarie, per riempirli di minacce e di improperi.

Un altro camice bianco finito recentemente sulle pagine dei giornali per motivi tutt'altro che medici e' quello che, in servizio in un pronto soccorso del napoletano, e' stato sorpreso dai Carabinieri a comprare cocaina. Ma in fatto di droghe l'episodio che ha fatto piu' scalpore si e' registrato a dicembre a Galatina, in provincia di Lecce, dove il direttore sanitario dell'ospedale 'Santa Maria Caterina Novella' ha addirittura inviato una circolare interna per ammonire il personale medico e gli infermieri a non fare uso di cocaina durante l'orario di servizio. L'invito era stato rivolto dopo alcune segnalazioni anonime giunte alla direzione sanitaria del nosocomio salentino. A pagarne il conto e' stato pero' proprio il direttore sanitario, che e' stato sospeso dalla direzione generale dell'Azienda sanitaria.

Naturalmente il problema e' internazionale e varca i confini italiani. Anche se negli altri Paesi sembra esserci una maggiore attenzione al fenomeno. "In Italia, da questo punto di vista siamo indietro", sottolinea Palmieri. "Manca un monitoraggio attento del fenomeno. Il ministero della Salute del Galles - aggiunge - sta ad esempio compilando un registro dei medici e studenti di medicina che hanno avuto esperienza di malattie psichiatriche o di abuso di sostanze, in modo da stabilire come queste persone possano continuare a lavorare o studiare proteggendo l'interesse pubblico".

Nel corso del II congresso del network 'Medico cura te stesso', verranno presentati anche altri studi internazionali sulla materia. "E' stato svolto - spiega Palmieri - uno screening sui medici australiani e neozelandesi attraverso un questionario di valutazione dell'ansia e della depressione, che ha evidenziato come i piu' alti livelli di stress si potessero riscontrare fra i medici di famiglia, rispetto alla media della popolazione. Conclusioni simili sono risultate da uno studio condotto in Gran Bretagna in cui si ricercava una correlazione tra la personalita' e l'attivita' lavorativa, mediante un questionario relativo ad ansia e depressione nei medici di base".

I risultati dell'indagine sono eloquenti: "Si e' notato - spiega l'esperto - che i casi di depressione (10% non grave e 16% borderline) erano statisticamente associati alla mancanza di tempo libero a causa del lavoro stressante per le continue richieste dei pazienti, alla quantita' ingente di telefonate, a una vita frenetica, all'essere single e senza figli, all'abuso di alcol, all'obesita', a una carriera insoddisfacente e a lavorare in ambienti poco stimolanti".